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Il gioco dell'impiccato
Scritto da jazzbeater
 



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Persona Titolo
jazzbeater
2/6/2007
5.26.44

Imma Turbau

Il gioco dell''impiccato

Castelvecchi, 2007




Il libro:

“È una settimana che l’hanno trovato, impiccato, e solo io, che di lui non so più niente da molti anni, so perché l’ha fatto. Così ora, invece di custodire un terribile segreto, ne custodisco due”.
Così Sandra alla notizia della morte di David, il compagno di giochi d’infanzia nel barrio in cui qualsiasi faccia nuova si associava a uno fuori dal gruppo, dal mondo della gente abituata a salutarsi per strada, sapere tutto l’uno degli altri. E di David la gente diceva che era un ragazzetto terribile, cruccio di due genitori che facevano soldi lavorando troppo per star dietro ad una faccetta furba come la sua, quella faccetta che a Sandra metteva allegria. Erano diventati amici nell’oratorio della chiesa del quartiere, scambiandosi storie e riempiendo fogli del gioco dell’impiccato mimando con parole sonnacchiose sentimenti che premevano per venir fuori e quando sta per accadere, quando l’infanzia lascia il posto all’adolescenza un segreto si insinua fra loro legandoli indissolubilmente nel dolore e nell’amore, incapace però di reggere il peso del sospetto, della violenza cieca e di un sentimento che finisce per consumare la vita fino alla fuga per sopravvivere. Fuga da una città, dai ricordi e forse anche fuga dalla vita.


Consigliato perchè:

…la storia della Turbau corrode l’anima, raccontando di un amore che pare destinato sin dalle prime battute a far male eppure a quel male la giovane protagonista, Sandra, si abbandona consapevole che lui solo può lenire le ferite del corpo spezzato dalla violenza e da un segreto che si rivela sempre più insopportabile;
…la scrittura della Turbau è fulminante, mondata da manierismi e riempitivi, scivola nell’uso della prima persona intervallando ricordi, sensazioni ad una sorta di autoanalisi per perdonare se stessa e liberarsi dallo spettro di David e con lui degli oscuri segreti del passato;
…per la forza e la disarmante lucidità con cui descrive la vita dei due protagonisti, Sandra e David, accompagnandoli nel tormento della crescita, dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta;
….per la profondità con cui scava nella famiglia di Sandra, contestualizzandola in un determinato periodo storico, fine del franchismo, in un quartiere in cui semplicemente si è “gente de toda la vida”, valorizzando al momento giusto la capacità genitoriale che supporta e libera Sandra dalla morsa delle ossessioni di David;
…particolare, riflessiva, analitica e mai banale è l’istantaneità con cui la Turbau imprigiona alcuni momenti topici della narrazione: “Mi aspettavo di vedere qualcosa, o qualcuno, con un aspetto animalesco. Allora mi domando da dove la tiri fuori, tanta brutalità, un individuo così mediocre, e lo capisco subito. E la temo davvero. Non è nessuno, è l’anonimato in persona, è uno di quegli uomini che si dimenticano pochi secondi dopo averli incontrati”;
…è un modo per denunciare la violenza sulle donne e quanto folle sia il sentimento che spinge la donna a perdonare, ad amare il suo aguzzino;
…al di là dell’amore Sandra salva se stessa grazie alle letture, lo studio e l’amicizia con la coetanea Olga ed una professoressa, Margherita, che saprà guardare oltre la sua apparente sfrontatezza per cogliere il suo grido d’aiuto e supportarla nella decisione di ricominciare altrove la sua vita.


Commento:

Da tempo sul mercato editoriale italiano non appariva un libro così, scritto da una giovane donna europea eppure non generazionale. La Castelvecchi ci ha creduto, e a ragione, perché “Il gioco dell’impiccato’ è un libro profondo, duro ma capace di emozionare, di stringere il cuore e le budella per la storia che racconta e per come la racconta.
Niente confessioni di ragazzine disinibite e lagne bloggate da postadolescenti ma il sogno spezzato di due giovani che aspettavano di crescere per amarsi, costretti a confrontarsi con l’orrore di una violenza che non si può cancellare nemmeno donando tutto di se stessi l’uno all’altro, nemmeno estremizzando i sentimenti, i bisogni, acuendo i sensi in risposta a un segreto che torna prepotentemente a chieder conto di quanto accaduto.
È lì nel pozzo la risposta.
Lì nel pozzo il segreto che tormenta Sandra e David.
Negli occhi di Sandra quando incontra David per strada la richiesta d’aiuto per cancellare il dolore, in quelli sconvolti di David la rabbia per quello che a lui è stato strappato, il sogno di un amore che non avrebbe dovuto avere altri testimoni.
Ma il segreto è più forte di tutto.
Dell’amore di due giovani che crescono chiedendo tempo per vivere, per dimenticare, per essere solo due ragazzi che si tengono per mano per strada, due ragazzi cresciuti insieme in un posto dove ognuno legge sulla faccia del vicino la quotidianità spesa a casa, a lavoro, a scuola.
Il segreto, il tormento che ha messo radici nel cuore, nell’anima si fa strada consumando poco alla volta l’amore di David e Sandra, quell’amore atteso per tanto tempo, quell’amore che si consuma in un sesso frenetico e spossante, quasi che non si possa arrivare a domani, che tutto va vissuto adesso perché qualcuno, qualcosa può portarlo via ancora una volta o per sempre.
Sì il segreto scava e scioglie la maschera della felicità alla fiamma dei ricordi che tornano prepotenti in una parola, in un oggetto, un dono, un anello ed è ancora violenza, gratuita da chi dovrebbe amarci, proteggerci e che invece non dimentica quel che si è stati costretti a fare per un amore che ora rinnega tutto e chiede libertà.
“In effetti non scappai di casa, ma da David, ed è l’unica volta nella mia vita che sono fuggita”.
Così Sandra, in fuga verso il futuro, verso una vita in cui ritrovare rispetto per se stessa, in cui convincersi di non poter nulla per salvare David dal segreto che aveva voluto dividere con lei restandone intrappolato. Non c’è tempo per sentirsi colpevoli ma s


Incipit:

“Anche se nessuno lo dice mai, ci abbandoniamo alla cosa più comoda, che è l’amore solo quando non sappiamo più essere amici”
“Quella notte arrivai a pulire perfino le piastrelle delle pareti. Feci in quella cucina quello che desideravo fare dentro di me, essere pulita, pulita come mai usata, nuova come uscita di fabbrica, una manciata di anni prima”
“Ci legarono il bisogno e la pena, il coraggio e l’orgoglio, il riflesso dell’amore che fu e l’illusione di quello che era stato, e nessuno dei due era disposto a cedere”
“Mi piace pensare che quello che facciamo ci definisce. Non mi spaventa che mi giudichino per le mie azioni, né per le mie idee. Mi terrorizzano invece quelli che classificano le persone per opinioni di seconda mano, senza conoscerle, per delle voci, per l’apparenza”
“L’avevo trattato come un imbecille incapace di comprendere, gli nascondevo tutto con l’autosufficienza dei figli troppo giovani che credono che i genitori non capiscano mai nulla, che dimenticano che anche i genitori sono svegli. E mio padre era molto sveglio, e capiva tanto, troppo, più di quanto pensavo, e soffriva per me tutto il tempo, e per se stesso, e non vedeva l’ora che cominciassi a comportarmi come la figlia intelligente che credeva fossi, e lasciassi una volta per tutte David”
“Non ti mettere nei casini Sandra, puoi ancora fare quello che vuoi. In un attimo avrai quarant’anni e una vita che parlerà per te senza che tu abbia bisogno di aprire bocca. Non lasciare che la decidano gli altri, non darla mai per scontata e per definitiva, perché magari le persone non cambiano, ma la vita sì. Non smettere mai di aspettarti il meglio, ma datti da fare per raggiungerlo, se non lo fai tu resterà per sempre una cosa non fatta”


Percorsi...:

“Perché non muoia con lui, perché resti viva almeno nella mia memoria, e per non doverla ripetere, per non dimenticare il grande amore che abbiamo vissuto, che non riuscii a capire, che in nessun modo poteva vivere, e che lo spinse a impiccarsi una settimana fa. Perché certi giochi dell’adolescenza reclamano vittime, anche se molti anni più tardi”
Un amore disperato, viziato da un segreto oscuro e da un dolore che riemerge feroce. Due ragazzi cresciuti insieme cullati dal reciproco cercarsi, per darsi amore, per farsi male, per stagnare le ferite dell’anima destinate a sanguinare fino a quando non si avrà la forza di reagire o di lasciarsi andare, alla deriva della vita.
Un romanzo impietoso e fulgente.


Critica...:

La Turbau sembra aspettare nell’angolo i suoi probabili detrattori guardandosi bene dal non dare spazio ai buoni insegnamenti paterni che sembrano riportare la sua protagonista sulla strada della ragione: “Il mio orgoglio parlava a voce più alta di me e m’impediva di ammettere che mi ero sbagliata, che erano gli altri, gli adulti, i custodi del buon senso, quelli che avevano ragione” e va oltre offrendo persino un bignami di psicopedagogia ricordando che “l’idea che aveva mio padre della buona eredità da lasciare ai suoi figli: [era] un’eccellente educazione. (…) Con l’educazione, il rispetto e la capacità di pensare in grande, decidere e prendermi le responsabilità delle mie decisioni, che era ciò che pensava di lasciarmi in questa vita, avevo più di quanto servisse per vivere con dignità”.

Jazzbeater


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